La sindrome di Arnold Chiari è una patologia malformativa del sistema nervoso che comporta una sintomatologia spesso invalidante, accompagnata da forti cefalee, resistenti anche a trattamenti fisioterapici e riabilitativi. Talvolta è associata anche ad altri sintomi quali vertigini, disturbi dell’equilibrio e della deambulazione, scarsa coordinazione motoria. Il trattamento chirurgico della sindrome di Arnold Chiari solitamente prevede un intervento chirurgico particolarmente invasivo, con possibili complicanze nella guarigione della ferita come fistole liquorali o ancor peggio infezioni. Ad oggi, è possibile procedere ad un intervento meno invasivo ma con pari efficacia rispetto ai sintomi e ridotti tempi di recupero, come dimostra il seguente caso clinico di una paziente del nostro studio di neurochirurgia.
Trattamento della sindrome di Arnold Chiari
Storia clinica e percorso diagnostico del paziente
La paziente è una giovane di 30 anni che lamenta forte cefalea resistente sia ai trattamenti fisioterapici che riabilitativi. A questo si aggiungono anche vertigini molto invalidanti, studiate anche da un punto di vista otorino e con diagnosi non chiara.
La patologia in oggetto è caratterizzata da una cefalea valsalva positiva. Questo implica che, in tutte le occasioni in cui la paziente compie degli sforzi che aumentano le pressioni intratoraciche e intraddominali, queste ultime si trasformano in pressioni intracraniche (ad esempio in caso si abbassamento della testa per sollevare un peso anche solo di una tosse persistente). Sottoposta a risonanza magnetica cranica, viene rilevata la presenza di una condizione anatomica molto particolare detta sindrome di Arnold Chiari.
La sua sintomatologia dipende da un’alterazione di quelli che sono i rapporti tra il forame magno e le tonsille cerebellari e, soprattutto, un’alterazione tale per cui le tonsille cerebellari scendono al di sotto del forame magno alterando quella che è la circolazione liquorale tra il comparto cranico e quello spinale.
La fisiopatologia della circolazione liquorale è molto complessa: possiamo considerare che c’è uno scambio di liquido tra il cranio e la colonna vertebrale che avviene attraverso un forame, detto forame. Se a questo livello il flusso non è normale ma c’è una limitazione (in questo caso per l’impegno delle tonsille) nelle manovre di valsalva il liquor non si scarica, va in ipertensione e provoca questa cefalea.
La paziente, pur essendo a conoscenza del problema da anni, non ha mai pensato una soluzione chirurgica perché spaventata sia dal tipo di intervento, sia possibili rischi in cui potrebbe incorrere.
Giunta all’attenzione dello staff del nostro studio di neurochirurgia, le viene chiesto di ripetere la risonanza magnetica con studio della dinamica liquorale. Questo studio, grazie ad una particolare risonanza, permette di vedere esattamente quali sono i flussi a livello del forame magno.
La diagnosi e il trattamento chirurgico proposto
Grazie a questo ulteriore approfondimento, la paziente è stata indirizzata dallo staff del Dottor Sacchelli verso un trattamento chirurgico della sindrome di Arnold Chiari meno invasivo rispetto a quelli tradizionali.
L’intervento tradizionale infatti prevede , oltre all’allargamento del forame osseo, anche l’apertura durale e, talvolta, anche la rimozione delle tonsille. Con un intervento meno invasivo, che mira cioè a risparmiare la parte meningea, si abbassa notevolmente il rischio d’infezione ma il trattamento si rivela comunque risolutivo rispetto al sintomo. Il tipo di intervento proposto consiste nel ridurre la parte ossea, cioè aprendo il forame magno cranico togliendo l’arco posteriore dell’atlante e la lamina di c2. In questo modo si crea un grande spazio in cui la dura, sotto le pulsazioni, può distendersi e questo è sufficiente per far ricircolare il liquor e permettere di risolvere questo “ingorgo”.
Dopo questo tipo di intervento anche la sintomatologia legata alle vertigini è stata risolta, confermando una correlazione con la sindrome di Arnold Chiari, pur trattandosi di un sintomo raro e meno frequente.
La paziente è stata dimessa dopo soli 2 giorni dall’intervento, e non ha mai più riscontrato questo tipo di disturbo.
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